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Genova, startup e futuro: pensieri di un ingegnere di ritorno

di Massimo Vanzi: ingegnere e imprenditore tornato a Genova dopo 45 anni

 

Ringrazio Nova Connect per l’opportunità di dire qualcosa su un argomento che amo e su cui lavoro in molte forme e con ruoli diversi da almeno venticinque anni: le startup.

E mi fa piacere farlo dopo il contributo dell’amico Gianluca Sommariva di Hodlie nella scorsa newsletter, che ritengo un giovane di grande valore e fondatore di una delle startup più innovative e coraggiose nate sul nostro territorio.

Voglio ringraziare anche chi finanzia questa iniziativa, ovvero la Fondazione Compagnia di San Paolo. È un grande segnale per Genova e per la Liguria che un attore strategico di questo livello, che tanto ha fatto per l’ecosistema piemontese, stia ora guardando anche verso di noi. Sono convinto che potrà contribuire in modo importante anche qui.

Scrivo come ingegnere genovese emigrato per quarantacinque anni, prima all’estero poi nel nord Italia, e recentemente tornato a vivere nella magnifica riviera ligure. In questi mesi ho apprezzato molto il lavoro svolto da Nova Connect. Ha colmato un’assenza, riempiendo uno spazio che qui mancava: quello degli eventi e delle occasioni concrete per parlare seriamente di innovazione e impresa. Ho partecipato a quasi tutti gli appuntamenti e posso dire che non solo sono stati utili, ma anche coerenti e in evoluzione, cosa tutt’altro che scontata. Negli ultimi sei anni ho visto nascere – e sparire nel nulla – molte iniziative create senza un reale radicamento, spesso con il solo scopo di giustificare i finanziamenti ricevuti. Voi, invece, siete rimasti, avete portato contenuti di qualità, testimonianze competenti e un format che ha mostrato volontà di crescere.

Ciò detto, mi permetto di offrire qualche spunto per continuare a migliorare. Nova Connect ha avuto il merito di partire con un’affermazione chiara e veritiera: a Genova non esiste ancora un vero ecosistema startup. E ha scelto di mettersi in gioco portando esperienze e best practice maturate in contesti più avanzati, come Torino e Milano. È un approccio che ho trovato corretto e promettente.

In questo quadro, trovo importante sottolineare che Genova non deve pensarsi isolata. Servirà sempre più un lavoro di integrazione e sinergia con gli ecosistemi vicini. Potremmo immaginare qualcosa di simile a un nuovo “triangolo dell’innovazione applicata”, che coinvolga Genova, Milano e Torino in una logica collaborativa. Ma per essere credibile in questo triangolo, Genova deve prima rafforzare la propria identità interna.

È qui che vedo il primo nodo da affrontare: il coinvolgimento degli attori genovesi.
È vero, c’è ancora molto da costruire, ma non è vero che a Genova non ci sia nulla.  Qui non mancano le persone giuste, manca la rete. Troppo spesso chi lavora sull’innovazione non si conosce, non collabora, a volte nemmeno si cerca. E, diciamolo, a volte nemmeno vuole farlo. Serve un’azione intenzionale per facilitare le connessioni, per costruire uno spazio comune. È qui che dobbiamo intervenire, facilitando l’incontro, costruendo legami, creando un’identità condivisa. Perché ecosistema non significa avere tanti attori: significa farli parlare tra loro.

Proprio in questa direzione, con un gruppo di amici e colleghi, stiamo lavorando alla nascita della Fondazione Genova Startup, che avrà come primo obiettivo proprio quello di costruire rete sul territorio. Crediamo che solo da una connessione vera tra le realtà locali possa nascere un ecosistema solido e sostenibile.

Ma da dove si deve partire, quando si parla di startup, a Genova e non solo? È una domanda che mi pongo spesso, anche alla luce della mia esperienza personale. Ho un background fortemente tecnologico e credo di sapere bene come ragionano i ricercatori. Sono anche consapevole del fatto che una grande percentuale delle startup di successo esce da un mondo di alta tecnologia e di alta innovazione (non solo tecnologica per altro).

Cosa manca in questo mondo? Manca la conoscenza e l’esperienza imprenditoriale, mancano gli imprenditori, mancano quei personaggi in grado di convertire ricerca e innovazione in impresa, allora io identifico due opportunità principali:

La prima è la creazione di cultura imprenditoriale. La maggior parte degli imprenditori si forma, non nasce tale. È quindi fondamentale creare contesti, percorsi, strumenti per fare crescere questa mentalità. Genova potrebbe ambire a diventare un hub di riferimento nel Mediterraneo su questo fronte: un luogo in grado di formare imprenditori e attrarre persone con vocazione imprenditoriale da altri territori e paesi. Se riuscissimo a costruire un ecosistema solido, sarebbe naturale per queste persone scegliere Genova come luogo in cui fare impresa e in cui restare.

La seconda opportunità riguarda la trasformazione della ricerca in impresa. Convertire buona ricerca in buoni soldi – ossia in valore economico sostenibile – è molto più difficile che ottenere l’opposto. Per questo, Genova dovrebbe dotarsi di un hub capace di lavorare esattamente su questo: da un lato, creare e selezionare imprenditori, e dall’altro, facilitare il passaggio dalla ricerca all’impresa, creando un terreno fertile per le startup deep tech e ad alto impatto innovativo.

Infine, qualche osservazione sul format stesso di Nova Connect.

Credo sarebbe utile renderlo meno statico e più aperto al confronto: oggi è ancora troppo preconfezionato, con poco spazio per l’interazione con il pubblico. E so che non è una mancanza di volontà, ma solo una questione di scelte organizzative. Il pubblico genovese, se coinvolto davvero, può dare contributi molto interessanti.

Poi c’è il tema dell’università. Nessun ecosistema può crescere senza una università coinvolta, motivata e in prima linea. Università degli Studi di Genova ha all’interno persone competenti e appassionate, che da anni lavorano su questi temi senza il giusto riconoscimento o sostegno. Bisognerebbe partire da loro e poi stringere alleanze con le università vicine – Politecnico di Torino e di Milano, Bocconi, Pavia – che su questi temi hanno una storia più avanzata.

Il potenziale c’è, le energie anche. Ora serve costruire connessioni, credere in una visione condivisa e lavorare insieme per renderla concreta. Sono tornato a Genova con questo spirito: per dare il mio contributo, anche solo in forma di pensieri come questi.

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